Daniel Libeskind |
Daniel Libeskind |
Descrizione Progetto: |
Una grande scultura, un’architettura carica di segni, simboli, evocazioni. Così si presenta l’edificio di Libeskind per il museo ebraico. Un gesto irrazionale, quasi a memoria della irrazionalità del “dolore storico”; un lampo fulmineo, questa la forma in pianta, il cui carattere illogico è sottolineato dal rivestimento argentato e luccicante di zinco.
Una spina che corre, che fugge, lasciando segno e memoria di sé; in facciata pareti lisce di zinco, ma segnate da feritoie sottili, casuali, sfuggenti, incise come lacerazioni nella pelle dell’edificio.
L’intero complesso occupa una superficie complessiva di diecimila mq e si sviluppa su cinque piani di altezza. L’interno non ha affatto le forme classiche e consuete di un museo: piani inclinati, corridoi labirintici, spazi poco fruibili immergono il visitatore in un labirinto di ricordi, memorie, ma non solo; rappresentato la testimonianza e la storia di un popolo.
Il progetto di Libeskind si sviluppa secondo tre percorsi: la torre dell’olocausto; il giardino E.T.A. Hoffmann, la strada della vita e della convivenza giudaico tedesca.
La torre dell’olocausto si trova all’interno di un volume di cemento alto e buio, con una piccola feritoia sul soffitto; il visitatore vi accede attraverso una pesante porta blindata, e si trova in uno spazio capace di evocare ricordi di cui, a volte, ha solo memoria storica: uno spazio che con la sua forma sembra essere al limite tra l’intimità di un ricordo e la freddezza del dolore.
Il giardino E.T.A. di Hoffmann si trova all’esterno ed è composto da 49 steli di cemento, (la fuga verso l’esilio) tagliate nella parte superiore con un piano obliquo e collocate su un terreno inclinato: nulla sembra essere al proprio posto e soprattutto grande disorientamento, vertigine.
La terza via è quella della vita e della convivenza giudaico-tedesca, ed è la strada che porta alle sale espositive, raggiungibili attraverso una scala ove una serie di travi oblique sembrano precipitare sul visitatore.
All’interno ci si imbatte in vuoti che non hanno nessun carattere funzionale, quanto piuttosto evocativo.
Una spina che corre, che fugge, lasciando segno e memoria di sé; in facciata pareti lisce di zinco, ma segnate da feritoie sottili, casuali, sfuggenti, incise come lacerazioni nella pelle dell’edificio.
L’intero complesso occupa una superficie complessiva di diecimila mq e si sviluppa su cinque piani di altezza. L’interno non ha affatto le forme classiche e consuete di un museo: piani inclinati, corridoi labirintici, spazi poco fruibili immergono il visitatore in un labirinto di ricordi, memorie, ma non solo; rappresentato la testimonianza e la storia di un popolo.
Il progetto di Libeskind si sviluppa secondo tre percorsi: la torre dell’olocausto; il giardino E.T.A. Hoffmann, la strada della vita e della convivenza giudaico tedesca.
La torre dell’olocausto si trova all’interno di un volume di cemento alto e buio, con una piccola feritoia sul soffitto; il visitatore vi accede attraverso una pesante porta blindata, e si trova in uno spazio capace di evocare ricordi di cui, a volte, ha solo memoria storica: uno spazio che con la sua forma sembra essere al limite tra l’intimità di un ricordo e la freddezza del dolore.
Il giardino E.T.A. di Hoffmann si trova all’esterno ed è composto da 49 steli di cemento, (la fuga verso l’esilio) tagliate nella parte superiore con un piano obliquo e collocate su un terreno inclinato: nulla sembra essere al proprio posto e soprattutto grande disorientamento, vertigine.
La terza via è quella della vita e della convivenza giudaico-tedesca, ed è la strada che porta alle sale espositive, raggiungibili attraverso una scala ove una serie di travi oblique sembrano precipitare sul visitatore.
All’interno ci si imbatte in vuoti che non hanno nessun carattere funzionale, quanto piuttosto evocativo.